La ricerca di un senso

La sensazione della perdita di senso è quasi sempre inconfondibile. Spesso però è molto difficile da spiegare, definire ed è comunemente poco considerata. Ci si cura per il mal di testa, per una frattura ed è a tutti chiaro quello che stiamo facendo e il perché lo stiamo facendo.

La perdita di senso ha invece poca considerazione nel nostro tempo. La sofferenza data dalla sensazione che ciò che stiamo facendo non abbia più senso sembra non aver possibilità di essere presa sul serio, resta in disparte e occuparsene sembra più uno sfizio o un privilegio che forse non possiamo permetterci. È però una necessità che tutti abbiamo dentro e un desiderio che è lecito provare. Va presa in considerazione, perché non è una semplice sensazione, ma l’indicazione che qualcosa va rivisto nella nostra vita.

Perché la mancanza di senso svuota, assorbe le energie, insterilisce e ci rende apatici, insofferenti e irritabili. È un campanello interno che suona. Possiamo ignorarlo, ma succede che il suo suono non ci permetta più di ascoltare il resto, che la vita venga inquinata, che l’esistenza sembri scorrere senza più badare a noi.

È importante poter interrogare questa mancanza di senso, aiutarla a esprimersi, vedere quali sono le sue (e quindi nostre) necessità. Cosa vuole, perché ci insegue e ci tortura. Quali sono i suoi (i nostri) desideri?

Nello spazio degli incontri il senso perduto viene riconsiderato. Nello studio psicologico c’è uno spazio che, a differenza del mondo esterno (frenetico, insensibile, a volte feroce), permette di pensare e chiedersi quali siano le domande che la sensazione di aver perso il senso nella nostra vita ci pone. Esplorarle e iniziare finalmente a sentire che le parti di noi dimenticate, zittite, umiliate, sono riaccolte, nutrendoci e allargando le possibilità di ritrovare il piacere di stare con noi stessi e con gli altri.